Disabilità, il modello Sardegna

Disabilità, il modello Sardegna

L’intervista al presidente di Abc Marco Espa

La legge 162 del 1998 ha introdotto per la prima volta piani personalizzati per persone con disabilità. Molte Regioni non riesco a soddisfare i bisogni dell’utenza in quanto non investono fondi propri oltre allo stanziamento statale. L’unica a farlo è la Sardegna. Ne abbiamo parlato con il presidente dell’associazione bambini cerebrolesi, Marco Espa.

Cos’è il modello Sardegna per la disabilità?
«Un progetto una persona. La spesa pubblica può essere fatta con questa procedura. La dotazione iniziale nel 1998 era piuttosto bassa. In Sardegna l’Abc con altre associazione fece una battaglia perché i piani venissero presi in capo alla Regione. Questo ha permesso di realizzare il modello Sardegna. I progetti partirono nel 2000 con un finanziamento di 1,3 milioni di euro. In Sardegna una persona con disabilità grave chiede di accedere al piano personalizzato assieme al Comune di residenza e la Regione lo finanzia. Nel primo anno sono stati realizzati 123 piani. L’anno successivo sono diventati 580. Oggi sono finanziati oltre 40 mila piani personalizzati, di cui 25 mila anziani con disabilità grave. Grazie alla legge regionale le famiglie in Sardegna possono scegliere l’operatore o la cooperativa che attua servizio. Ci sono inoltre alcuni esperimenti che permettono anche percorsi di vita indipendente».

Cosa differenzia la Sardegna dalle altre regioni?
«La Sardegna è prima regione per investimenti pro capite per persone con disabilità. Gli ultimi dati Istat disponibili, relativi al 2015, evidenziano che la spesa è di 105 pro capite. In Campania è di 12 euro. In Lombardia di 36. La media in Italia è di 29 euro. Questo ha portato un beneficio per il lavoro. Ci sono più di 15 mila operatori che lavorano sul territorio. La Sardegna riceve ogni anno dallo Stato circa 10 milioni di euro per il fondo non autosufficienza (il 2,75 per cento). E ne investe ulteriori 160 di risorse proprie, tra quelli previsti dalla legge 162 e quelli del piano Ritornare a casa, per il quale ogni individuo che ne ha diritto può ricevere fino a 60 mila euro anno. In aggiunta le famiglie investono ulteriori 50 milioni di euro per aggiungere ulteriori servizi presso le proprie abitazioni. Ci sono inoltre benefici collaterali come il rientro a lavoro di molte donne che non devono più accudire i figli o altri familiari h 24. La Campania prende l’8,46 e la Lombardia il 15 per cento del fondo per la non autosufficienza. In queste ed in altre Regioni non vengono investiti altri fondi regionali. in Sardegna i malati di sla vivono a casa, non in rianimazione. Grazie a questo c’è anche un risparmio importante della spesa pubblica. Ci sono persone che si sono trasferite da Lombardia, Lazio e Veneto per poter scegliere questo modello».

Cosa pensa del modello rsa?
«L’emergenza Coronavirus ha dimostrato che il modello di presa in carico delle persone con disabilità e anziane in residenza ha fallito. Vivere in queste strutture porta dei rischi intrinsechi. Ho proposto che al termine dell’emergenza il modello vada ridiscusso. Deve essere superato. Bisogna investire sui servizi sociali territoriali. Servizi domiciliari, individuali e coprogettati in base alle singole esigenze».

La vostra associazione si occupa di bambini cerebrolesi. Quale è stata la maggiore difficoltà durante la prima fase dell’emergenza?
«Senza servizi si resta chiuse in casa. Ma noi siamo esperti di resistenza. Siamo stati disciplinati. Dal 26 marzo le persone con disturbi del comportamento potevano uscire. Ma la prudenza in questa fase è stata importante. Il piano personalizzato ha permesso di fare un lavoro di prevenzione e quindi meno morti. Secondo noi se in Lombardia ci fosse stato questo modello ci sarebbero stati almeno il 50 per cento di morti in meno nelle rsa».

Ciro Oliviero

Redazione
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