Su via Tiburtina a Roma, a pochi passi da San Basilio, c’è l’ex fabbrica di penicillina. La prima a produrre il farmaco in Italia dal 1950. Dopo gli anni della dismissione l’abbandono. Divenuta rifugio per senza fissa dimora, migranti, la struttura è ora una bomba ecologica tra rifiuti ed amianto. La giornalista Anna Ditta, il fotografo Marco Passaro e il chimico Andrea Turchi hanno raccontato l’evoluzione di quel luogo in un libro. Hotel Penicillina (Infinito Edizioni) raccoglie testimonianze di ex lavoratori e dirigenti della fabbrica, di chi ci ha vissuto, di attivisti ed operatori, degli abitanti del quartiere.

Andrea Turchi ha raccontato all’agenzia Dire che l’idea del libro è arrivata dopo una chiacchierata con l’ecologista Giorgio Nebbia. Poi ha incontrato gli altri due autori. «Di questa vicenda mi ha colpito la contraddizione rispetto a quello che è stata la fabbrica e come è diventata oggi. Da questo contrasto, tra la fabbrica quando era viva a quando è diventata la casa per queste persone, è nato Hotel Penicillina», ha detto alla Dire la giornalista Anna Ditta. Il fotografo Marco Passaro invece nella struttura c’era stato quando ancora ci vivevano gli invisibili. Ha raccontato che le lastre di amianto erano utilizzate come pareti per delimitare gli spazi vitali dei singoli. Di come esistesse una sorta di mercato interno, dei bar.

Un ex dipendente, che ha lavorato alla fabbrica dal 1968, ha raccontato alla Dire che «quel posto è pericoloso, va bonificato. La roba la buttavamo nel fiume, per terra. Per 7-8 metri sotto il terreno, ancora adesso, ci sono acetati, acetoni, roba cancerogena. È un bel pericolo, ma chi bonifica? È privato. Perché buttavamo lì i rifiuti? Erano i primi anni, si buttava nelle fogne, nel fiume. Non c’erano i controlli. Poi, dopo due anni che ero lì sono arrivati i filtri. Poi, i controlli».