Il progetto fotografico promosso dall’Unhcr per mostrare come il calcio sia volano nei processi di integrazione delle persone migranti
Dai campi polverosi di Kakuma, in Kenya, all’erba sintetica nel nord-est dell’Inghilterra. Il calcio è una lingua universale che mette assieme tutti. Il veicolo per permettere a tanti richiedenti asilo e rifugiati di ricostruire le proprie vite. E grazie a Goal Click Refugees anche di poterle raccontare. Il progetto fotografico promosso dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati intende mostrare come il calcio sia volano nei processi di integrazione delle persone migranti, anche fuori dal rettangolo di gioco.
Goal Click ha fornito a ogni partecipante una fotocamera usa e getta per permettergli di immortalare l’incidenza del calcio nelle loro vite in insediamenti in Giordania, Kenya, Malawi, Camerun. Ma anche in Europa occidentale, Stati Uniti e Australia. Il progetto raccoglie le storie non filtrate di oltre 25 rifugiati. In questi mesi saranno pubblicati oltre 60 contenuti che raccontano l’oggetto del progetto in 20 Paesi. Da prima a durante l’emergenza pandemica. Dentro e fuori dal campo. Il racconto di chi si è dovuto adattare ad un vita nuova. Come Shegofa Hassani, una rifugiata afghana in Australia, che ha affermato che il calcio ha contribuito a cambiare gli atteggiamenti nella sua stessa comunità.
«Vedo il calcio come un ottimo strumento per creare coesione sociale e creare un ambiente sicuro per l’espressione di sé. Cerchiamo di essere il più inclusivi possibile e di invitare tutti i bambini senza limiti», ha detto Sasha Fomichov, ambasciatore della campagna Uefa #EqualGame e capo allenatore della League of Tolerance di Ivano-Frankivsk, organizzazione benefica focalizzata sull’educazione sociale attraverso lo sport.
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