Beni confiscati tra burocrazia e malafede

Beni confiscati tra burocrazia e malafede

A chiarirlo i dati della relazione finale dell’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati realizzata dal IX Comitato della Commissione bicamerale antimafia

I Comuni non hanno notizie rispetto allo stato di destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata presenti nel loro territorio, in ben due terzi dei casi. A questo si aggiunge che, secondo gli ultimi dati di giugno, 18.518 immobili e 2.929 aziende in 2.176 comuni devono ancora essere destinati. Questi i numeri emersi dalla relazione finale dell’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati realizzata dal IX Comitato della Commissione bicamerale antimafia. Già a marzo Libera aveva pubblicato il dossier Fattiperbene sulla situazione del riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie a 25 anni dalla legge Rognoni-La Torre. Dal rapporto era emerso che 5 beni su 10 restano nel patrimonio indisponibile dei Comuni in cui sorgono le proprietà.

PERCHÉ I BENI NON VENGONO RIUTILIZZATI
Da questi due rapporti è evidente che gran parte dei beni non venga assegnata. Perché? Il percorso burocratico è lentissimo. Tra quelli che si verificano con maggiore frequenza c’è la presenza di quote indivise nella proprietà con soggetti non arrestato, irregolarità urbanistiche o problemi strutturali. Si verificano con frequenza anche i casi di occupazioni abusive, o da parte degli stessi proprietari, quando non sono stati arrestati o da parte di amici e parenti

I Comuni – fatta salvo qualche piacevole eccezione – non investono. Neanche per il riutilizzo per spazi proprio come uffici comunali o come sedi delle forze della polizia municipale o per destinarli alle altre forze dell’ordine. Capita anche che questo accada perché gli immobili non sia in buono stato, soprattutto perché i tempi – e qui torna la burocrazia – sono lunghi. Spesso prima che l’agenzia nazionale dei beni confiscati e sequestrati assegni i beni ai Comuni passano anni. E quindi i beni possono andare in malora. Dunque i beni necessitano di riqualificazione prima del riutilizzo sociale o della messa a bando. E qui arriva il problema economico. Molti enti comunali non possono permettersi di sobbarcarsi la spesa. E non tutti riescono ad accedere a finanziamenti privati di fondazioni che pure mettono in gioco ingenti fondi per il riutilizzo dei beni. Una su tutte fondazione Con il Sud.

OPEN REGIO
Tra i motivi che impediscono all’Agenzia dei beni confiscati di assegnare gli ammobili ai Comuni c’è, guarda caso, un fattore burocratico. Il 63 per cento dei 2.617 Comuni sul cui territorio insistono beni confiscati non ha la credenziali per vederseli assegnati. La banca dati Open Regio sul sito dell’Anbsc dispone una guida attraverso la quale gli enti comunali possono risalire alle modalità per ottenere le credenziali necessarie.

PON LEGALITÀ
Ma ci sono anche fondi pubblici per interventi, anche strutturali, sui beni confiscati? La risposta è sì. I bandi a cui accedere per presentare progetti in questo senso si chiamano Pon Legalità. Sono progetti finanziati dal ministero dell’Interno. Molto spesso si tratta di cifre importanti. Ma anche in questo caso la burocrazia la fa da padrona. E, talvolta, si aggiunge anche la malafede di quanti, anche nelle pubbliche amministrazioni, mettono i bastoni tra le ruote per l’avvio dei lavori.

La relazione del IX Comitato della Commissione bicamerale antimafia evidenzia che solo il 16 per cento dei 68 milioni previsti dal Pon legalità 2014 – 2020 è stato impiegato. Significa che sono stati spesi o messi in preventivo di spesa solo 10,88 milioni. Facile il calcolo di quanto torna o potrebbe tornare indietro: 57,12 milioni. Una cifra impressionante, che potrebbe consentire a decine di beni confiscati di rivedere la luce per progetti sociali, che possono anche creare economica. Emblematico in tal senso il caso della Masseria Antonio Esposito Ferraioli di Afragola, il bene confiscati più grande dell’area metropolitana di Napoli, dove si rischia di perdere il finanziamento di un progetto di 1.497 milioni di euro.

DOVE SI TROVANO I BENI
La regione con il maggior numero di beni confiscati è la Sicilia. 449 su 5.645 assegnazioni. Ai primi posti ci sono pure la Campania e la Lombardia con 282 (su un totale di 3.017 beni sottratti alla camorra) e 86 (su 1.850). Seguono Piemonte (30 su 634) e Calabria (16 su 1.849). Alla Sicilia spetta il primato anche la percentuale più alta (52,31%) di comuni in cui sono presenti beni confiscati. Le regioni con la minore presenza sono invece il Trentino Alto Adige con l’1,03 per cento (3 comuni) e la Valle d’Aosta con l’1,35 per cento (1 comune).

LE AZIENDE
Discorso a parte meritano le aziende sequestrate e confiscate. Il primo problema per queste imprese è il rientro nella legalità. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di aziende che non versano tasse, contributi, sottopagano i lavoratori, non seguono un flusso di denaro legale. Rischiano il fallimento, anche perché è difficile che le banche possano concedere loro credito, anche se sotto l’amministrazione giudiziaria. Unica strada percorribili per salvarle riguarda gli accordi territoriali tra Abi e tribunali per il sostegno finanziario attraverso un programma di prosecuzione approvato dal tribunale.

Sempre in tema finanziario c’è il Fondo unico giustizia, dove confluiscono i patrimoni liquidi come conti corrente, polizze, fondi di investimento. Un patrimonio di circa 3,6 miliardi di euro destinati a scopi sociali, come la carta acquisti per i cittadini disagiati o l’assistenza alle vittime di violenza di genere.

@ciro_oliviero



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