Per Make the Label Count le informazioni principali riguardano i materiali rinnovabili e biodegradabili, riutilizzabili e riciclabili
L’industria tessile utilizza oltre 98 milioni di tonnellate di materiali non rinnovabili ogni anno. Tra questi petrolio, fertilizzanti, prodotti chimici. Consuma inoltre circa 93 miliardi cubi di acqua. 2.700 litri per una singola maglietta. Contribuisce all’emissione di circa 1,2 miliardi di tonnellate di Co2. Scarica negli oceani circa 500 mila tonnellate di fibre di microplastica. Numeri da paura. Ma il settore può essere riconvertito. Può cambiare rotta. Sono decine e decine le esperienze di moda sostenibile che arrivano da ogni parte del mondo. Dalle pochette Frux, realizzate con filati naturali di origine vegetale, ai capi Oso, la linea di abbigliamento etica e sostenibile lanciata dalla catena di supermercati NaturaSì. Dalle gonne di Remida Napoli alle Nomad, le scarpe della finlandese Rens realizzate in plastica riciclata e fondi di caffè. Dalle scarpe dell’azienda calzaturiera vietnamita ShoeX alla Fashionableecoart.
Sì può e si deve fare di più. Si deve spingere il mercato a pensare e produrre ecosostenibile. Un passo in questa direzione permetterà di farlo l’etichetta che dovrà essere applicata ai prodotti realizzati nei Paesi Ue dal 2023. I prodotti dovranno informare i consumatori sull’impatto ambientale. Secondo la campagna Make the Label Count il progetto non è stato ideato al meglio. A detta loro fibre come il poliestere saranno certificate come più rispettose dell’ambiente rispetto a quelle naturali. Secondo la campagna i parametri individuati non rispettano gli attuali pareri scientifici, che indicano l’inquinamento da microplastiche come uno dei principali rischi per l’ambiente.
Per Make the Label Count le informazioni principali da fornire ai consumatori sono tre. Se i capi d’abbigliamento sono realizzati con materiali rinnovabili e biodegradabili, se sono riutilizzabili e riciclabili, se contribuiscono all’inquinamento da microplastiche.
@rob_malfatti