In Italia esiste una filiera industriale ed artigianale che lavora con gli scarti tessili e gli abiti usati
Dal 1996 la fast fashion è aumentata del 40 per cento nei soli Paesi dell’Unione europea. I prodotti tessili usati sono passati da poco più di 550mila tonnellate del 2000 a quasi 1,7 milioni di tonnellate nel 2019. L’industria tessile viene considerata la seconda più inquinante al mondo dopo quella petrolifera, anche perché solo l’1 per cento degli abiti prodotti nel mondo sono riciclabili. L’Europa si trova ad affrontare grandi sfide nella gestione dei prodotti tessuti usati, Ancor più sulla partita dei rifiuti tessili. Riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti tessili sono limitate. Per questo molto spesso sono venduti in Africa e in Asia. Solo nel 2019, il 46 per cento dei tessuti usati è finito in Africa. Ma non sempre sono riutilizzati. Ed anche quando accade, non sempre secondo una trafila chiara.
Esiste un mercato dell’usato. Esiste una filiera industriale ed artigianale che lavora con gli scarti tessili e gli abiti riutilizzati. Ci sono esempi che abbiamo raccontato anche da queste pagine, come il progetto S’Arte della sartoria sociale Remida o Spola, la sartoria sociale di Catanzaro. C’è un riuso altro, come le mascherine trasformate in mobili con il Projeto de Valorização e Reciclagem de Têxteis e Máscara. Quando si chiede ai cittadini europei cosa pensano delle donazioni di indumenti usati, il pensiero corre, quasi nella totalità dei casi, a regali a persone in stato di necessità. Ma non è per forza così. Lo evidenzia anche il recente rapporto dell’Agenzia Ambientale Europea. Fatto che ha preoccupato la rete degli operatori dell’usato
La rappresentante del comparto tessile della rete, Karina Bolin, ha spiegato che «le raccolte differenziate tessili sono servizi pubblici di raccolta rifiuti, che implicano standard di qualità, svuotamenti costanti dei contenitori, obbligo di ritirare tutti gli scarti tessili e non solo gli abiti pronti per essere reindossati. Tutto questo implica costi operativi, che vengono sostenuti grazie alla vendita sui mercati dell’usato nazionali e internazionali di quella quota che effettivamente è riutilizzabile. Il resto viene inviato a riciclo o a smaltimento e per gli operatori della raccolta e del recupero rappresenta un costo».
La Bolin ha aggiunto che «esistono ancora operatori solidali che generano impatto sociale a partire dagli abiti usati e lo fanno impiegando soggetti svantaggiati nelle operazioni di raccolta oppure destinando a progetti solidali una parte dei ricavi delle vendite». Attività che hanno anche una visione green.
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