Il presidente ha parlato della possibilità di vendere ai privati, sottraendoli al circuito di riutilizzo sociale
E dire che le esperienze campane di riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati, così come definite dalla legge 109/96, negli anni sono divenute un vero e proprio modello di riferimento nazionale e internazionale. Come nel caso della Francia che a seguito del confronto con il nostro Paese nell’aprile 2021 è giunta all’approvazione di una legge che mette i beni immobili confiscati a disposizione delle associazioni di interesse generale, delle fondazioni di utilità sociale e degli operatori dei alloggi sociali.
Un modello che grazie a esperienze come quella ad esempio della cooperativa sociale Al di là dei sogni con sede in un bene confiscato a Maiano di Sessa Aurunca che grazie a un lavoro costante e appassionato di recupero economico e sociale del territorio è diventata oggi vero e proprio punto di riferimento nel panorama della cosiddetta economia sociale, ha consentito la costruzione di un welfare efficace, di prossimità e perfettamente aderente aderente alle esigenze territoriali.
Un modello che però sembra sempre più lontano dalle idee della politica e delle istituzioni nostrane sempre più tese a volersi scrollare di dosso la responsabilità e il dovere di rimettere i beni sottratti alle mafie a disposizione delle comunità. Come dimostrano le parole del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che a margine del Secondo Forum Espositivo dei Beni Confiscati appena conclusosi, si è espresso ancora una volta per la possibilità di vendere i beni ai privati, sottraendoli di fatto al circuito di riutilizzo sociale e realizzazione di welfare locale che proprio la politica non ha saputo e non riesce a garantire soprattutto in particolari aree territoriali della Campania.
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C’è da dire che la possibilità di alienare i beni è già contemplata, anche se in via residuale, nell’attuale codice antimafia. Opzione introdotta nel 2018 con l’approvazione del primo Decreto Sicurezza, tanto contestato proprio dalle realtà operanti nel settore dei beni confiscati che in tale possibilità hanno evidenziato il tradimento dei principi sanciti dalla 109/96. Che ci siano difficoltà nel recupero funzionale dei beni che troppo spesso giungono nelle disponibilità dei comuni in condizioni disastrose, a causa della vandalizzazione che li colpisce nel periodo tra sequestro e confisca definitiva, è innegabile. Ed è comprensibile il malessere dei comuni che, a corto di risorse, quando ricevono i beni in condizioni di degrado, vedono in essi solo un problema invece che una risorsa. Condizioni che tra l’altro potrebbe essere poco incentivante anche per potenziali acquirenti privati.
Tuttavia proprio la storia recente della Regione Campania, che il governatore De Luca sembra aver dimenticato nonostante la presieda dal 2015, parla abbastanza chiaro. Con l’approvazione della Legge Regionale 3/2018 infatti, la precedente norma regionale in materia di beni confiscati del 2012, fu riformata con l’introduzione di aiuti ai comuni per le attività di ristrutturazione dei beni, azione pensata proprio per evitare che i beni perdessero la propria vocazione e le proprie potenzialità di riuso, e il sostegno alle realtà impegnate o che volessero impegnarsi nelle varie esperienze di riutilizzo sociale degli stessi.
Azioni che peraltro hanno fatto della legge campana, firmata dalla stesso De Luca, un modello nazionale per le regioni intenzionate a legiferare in materia, e che oggi il governatore campano sembra aver completamente dimenticato, distratto forse dalle sirene di improbabili imprenditori verso cui si ripone un’attenzione che invece dovrebbe guardare molto più alle esigenze dei territori che in campi fondamentali come quelle delle politiche socio assistenziali e di rigenerazione territoriale in genere attendono risposte che proprio la politica in questi anni non ha saputo fornire.
@VinsViglione