Dopo il terremoto nei Campi Flegrei ne abbiamo parlato con Lorenzo Benedetto del Consiglio Nazionale Geologi
La situazione geodinamica dell’Italia, vede il territorio frequentemente soggetto a terremoti. Tanto che il Paese ha il primato europeo sui fenomeni sismici. Settimanalmente viene pubblicato il bollettino sul movimento delle placche, che interessa il fenomeno sismico. Il territorio maggiormente interessato nelle ultime settimane è quello dei Campi Flegrei, in provincia di Napoli. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Benedetto, presidente del centro studi del Consiglio Nazionale dei Geologi.
Poche settimane fa i Campi Flegrei hanno tremato per il terremoto. Quali devono essere le misure di prevenzione da mettere in campo per affrontare il rischio sismico connesso al fenomeno bradisismico in quell’area? E nell’intero Paese?
«I terremoti dell’area flegrea che si stanno verificando nell’ultimo periodo, sono legati al fenomeno del bradisismo che attualmente vede in corso una fase di sollevamento del suolo. A partire dalla metà di ottobre, il valore medio della velocità di sollevamento, nell’area di massima deformazione, è di circa 4 mm/mese, significativamente più ridotto rispetto al valore medio registrato a settembre che era di circa 15 mm/mese. In generale il rischio sismico rappresenta la misura dei danni attesi in termini di vittime, danni alle costruzioni e costi diretti e indiretti a seguito di un terremoto. L’elevato rischio che interessa gran parte del nostro paese, compresa la zona flegrea, deriva dalla combinazione di tre fattori: la pericolosità medio-alta che è data dalla probabilità che si verifichi un terremoto in una data area con una certa frequenza ed intensità, la vulnerabilità molto elevata legata alla fragilità del patrimonio edilizio, infrastrutturale e produttivo e dalla esposizione altissima derivante dall’elevata densità abitativa ed al fatto di avere un patrimonio storico ed artistico unico al mondo. Le misure di prevenzione da mettere in campo devono partire dunque dalla valutazione del rischio sismico attraverso la definizione della pericolosità del territorio interessato, congiuntamente all’analisi della vulnerabilità dell’edilizia privata e pubblica e, conseguentemente, attuare interventi di miglioramento sismico del costruito esistente al fine di garantire maggiore sicurezza a partire dagli edifici a più elevato rischio. Occorre, altresì, migliorare le conoscenze della sismicità del territorio, attraverso il potenziamento delle reti di monitoraggio e studi di sismicità».
Qual è il lavoro che porta avanti la rete delle professioni tecniche nella prevenzione del fenomeno sismico?
«Uno dei temi principali è appunto la riduzione della vulnerabilità dell’edilizia più vetusta e del patrimonio storico-architettonico-monumentale, con la realizzazione di interventi strutturali di miglioramento o adeguamento sismico. In Italia abbiamo circa 7 milioni di fabbricati che sono stati costruiti prima del 1970 e dunque in assenza dei criteri costruttivi antisismici introdotti successivamente con la Legge n. 64 del 1974, sui quali evidentemente andrebbero effettuate le valutazione del livello di rischio e conseguentemente eseguiti gli interventi di riqualificazione. E’ necessario dunque predisporre un piano di lungo periodo che consenta la messa in sicurezza del patrimonio edilizio pubblico e privato esistente, attraverso il meccanismo delle detrazioni fiscali che garantiscano il massimo della copertura possibile dei costi d’intervento e consentendo l’accesso alle misure di prevenzione anche ai contribuenti incapienti. Stiamo lavorando anche sul tema del completamento degli studi di microzonazione sismica del territorio che vengono eseguiti attraverso l’analisi dei caratteri geologici, geomorfologici, geotecnici e geofisici del sito e che come sappiamo spesso possono variare anche a breve distanza in un centro abitato. La qualità del costruito influisce senza dubbio sull’entità del danno, ma sovente le cause vanno ricercate anche nella differente pericolosità sismica locale, determinata dal diverso modo in cui si propaga il terremoto o dall’instabilità del suolo. I risultati di questi studi sono fondamentali per indirizzare la pianificazione territoriale, in modo da evitare di insediare le zone più pericolose e per costruire fabbricati più sicuri. Nello stato di attuazione siamo molto indietro. A livello nazionale i dati ci indicano che circa il 69% dei Comuni non a bassa sismicità ha provveduto ad eseguire uno studio di 1° Livello validato dal DPC, il dato della Campania si riduce quasi alla metà , ovvero 38 %, mentre nei comuni della zona rossa dei Campi flegrei solo 3 comuni su 7 Comuni hanno lo studio di primo livello validato (Napoli, Giugliano in Campania e Monte di Procida), il comune di Pozzuoli ha uno studio di 1° livello non ancora validato dal DPC, mentre Bacoli, Quarto e Marano di Napoli non hanno prodotto alcuni studio di MS. Dunque c’è fare ancora molto. Da qui dunque la necessità di implementare la conoscenza del livello di pericolosità sismica del territorio d’interesse, influenzato, come sappiamo, dalle caratteristiche locali geologiche, geomorfologiche e geotecniche, che spesso possono variare anche a breve distanza in un centro abitato. La qualità del costruito influisce senza dubbio sull’entità del danno, ma spesso le cause vanno ricercate anche nella differente pericolosità sismica locale, determinata dal diverso modo in cui si propaga il terremoto o dall’instabilità del suolo. Stiamo, inoltre, collaborando con il Dipartimento di Protezione Civile Nazionale per il miglioramento dell’operatività e delle attività di gestione tecnica delle fasi di emergenza post-terremoto».
Quanto è importante lavorare per ampliare la conoscenza del livello di pericolosità sismica di ogni singolo territorio da parte di chi lo abita?
«La diffusione della conoscenza dei rischi nella popolazione è un aspetto fondamentale della prevenzione al fine di determinare popolazioni più resilienti. I cittadini devono essere messi a conoscenza degli scenari di rischio che si possono verificare durante le emergenze e delle azioni e comportamenti che devono porre in essere per evitare di mettere a rischio la propria incolumità e quella degli altri. Molte delle vittime che si verificano durante gli eventi calamitosi sono purtroppo dovute a comportamenti sbagliati. I Piani di Protezione Civile rappresentano un supporto operativo fondamentale di prevenzione e di gestione delle emergenze al fine di ridurre il danno, in caso di eventi, soprattutto in termini di salvaguardia della vita umana. Ormai quasi tutti i Comuni se ne sono dotati ma pochi li applicano, anche per mancanza di fondi dedicati. Non vengono fatte esercitazioni, i cittadini non vengono informati, per cui i piani spesso risultano del tutto inefficaci».
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