Su lotta a stereotipi di genere oggi c’è maggiore consapevolezza, ma il linguaggio violento della politica non aiuta
Negli ultimi anni, la comunicazione pubblica sulla violenza di genere ha mostrato segnali di cambiamento. Lucia D’Ambrosi, docente di Sociologia alla Sapienza di Roma, evidenzia come le campagne abbiano abbandonato l’approccio passivo degli anni ’90, in cui le donne erano raffigurate come vittime incapaci di reagire, per promuovere oggi un messaggio di responsabilità collettiva e maggiore consapevolezza. Secondo uno studio che la D’Ambrosi ha condotto assieme alla professoressa Franca Faccioli, la comunicazione istituzionale si è evoluta verso una maggiore attenzione ai messaggi gender sensitive. Le prime campagne contro la violenza sulle donne si concentravano esclusivamente sulla promozione del numero antiviolenza 1522.
Secondo la docente universitaria ci sono stati dei miglioramenti nelle campagne pubbliche, ma il linguaggio della politica, spesso aggressivo, frena un cambiamento culturale più profondo. «Le istituzioni stanno costruendo messaggi più inclusivi ma restano contraddizioni. Alcune narrazioni rischiano di rafforzare stereotipi, combinando emancipazione e bellezza in modo paternalistico», ha dichiarato la D’Ambrosi.
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In questo scenario, un contributo importante arriva dal lavoro svolto dagli enti locali e dalle associazioni. Consulte femminili e comitati unici di garanzia stanno giocando un ruolo chiave nel promuovere una comunicazione più efficace e vicina al territorio, riuscendo spesso ad intercettare i cittadini. Tuttavia, in un Paese ancora fortemente maschiocentrico, il cambiamento culturale è una sfida complessa, ma essenziale per costruire una società più equa. «La strada da percorrere è lunga ma è indispensabile per costruire una società più equa, in cui la violenza di genere venga riconosciuta e contrastata come un problema di tutti, non solo delle donne», ha concluso la D’Ambrosi.
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