Il direttore di nelPaese.it Giuseppe Manzo analizza il fenomeno bullismo e cyberbullismo
Sulla testata nelPaese.it, che dirige dal 2014, Giuseppe Manzo ha affrontato più volte il tema del bullismo e cyberbullismo. In occasione della Giornata Nazionale contro Bullismo e Cyberbullismo gli abbiamo chiesto quali possono essere le insidie della rete per i giovani e come poterla rendere invece una risorsa.
I dati diffusi da Unicef dicono che il 70,6 per cento dei giovani tra i 15 e i 24 anni è online. In Italia si arriva al 90,2. Quali sono i pericoli maggiori a cui sono sottoposti?
«Il primo pericolo che vedo è non partire invece dalle opportunità di essere on line. Bisogna capovolgere il tavolo. A Piacenza una cooperativa sociale e una di informatica hanno prodotto Mindbook, la prima app a portata di smartphone rivolta ai genitori: insegna loro come rapportarsi con i figli preadolescenti immersi nell’universo dei social. Ecco, bisogna fare uno sforzo per capire questa era tecnologica in cui sono immersi i millennials come fu la radio e la televisione per le generazioni del ‘900».
I dati dicono che il fenomeno del cyberbullismo è in crescita. Quale potrebbe essere una misura per contrastarlo?
«Credo che gli adulti debbano iniziare a capire come funzionano dispositivi digitali, piattaforme social e chat. Non bisogna commettere l’errore di demonizzare le modalità di comunicazione di questa generazione. Il bullismo, gli atteggiamenti arroganti o violenti non nascono oggi e hanno origine nelle responsabilità familiari e istituzionali. La scuola non può essere lasciata sola. Serve ascoltarla e creare una rete sociale che supporti i minori che fuori hanno solo modelli, spesso proprio istituzionali, di arroganza e violenza verso il più debole e il diverso».
La stampa racconta nei modi giusti questo fenomeno?
«A volte lo fa e spesso no. Questo fenomeno rientra con tanti altri temi sociali nella crisi d’identità dell’informazione che oggi insegue clic e sensazionalismo oppure si occupa di infanzia e minori solo quando si accendono gravi casi di cronaca. Nelle dinamiche sociali c’è sempre un prima e un dopo non solo il “durante”: ecco, bisogna uscire dalla gabbia di raccontare solo il momento».
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