L’intervista al giornalista e scrittore Sergio Nazzaro che si aggiudicato la menzione speciale del Premio nazionale don Peppe Diana “Per amore del mio popolo”
Giornalista, scrittore, portavoce del presidente della commissione parlamentare Antimafia. Sergio Nazzaro è da anni impegnato nel racconto dell’ingerenza delle mafie, nell’analisi delle economie dei fenomeni criminali a livello internazionale. Ha fatto dell’impegno antimafia la sua vita. Si è aggiudicato la menzione speciale del Premio nazionale don Peppe Diana «per le sue inchieste sulla criminalità organizzata nigeriana in Italia». Con lui abbiamo parlato del fenomeno mafioso sotto vari punti di vista.
Quest’anno si è aggiudicato la menzione speciale del Premio nazionale don Peppe Diana “Per amore del mio popolo”. Che significato ha per lei, che viene da quelle terre e che ha fatto del racconto di mafia e antimafia, oltre che un lavoro, impegno di vita?
«Il premio don Peppe Diana nasce a Casale di Principe come segno di rinascita e riscatto. Oggi è un premio di rilevanza nazionale che innanzitutto dimostra come un territorio può rinascere e diventare simbolo di riscatto. Sinceramente sono emozionato perché un riconoscimento dalla propria terra tocca corde profonde del sentire. Oltremodo è semplicemente continuare un impegno sul campo. La scrittura senza azione quotidiana, sui territori, sui beni confiscati, personalmente non può essere disgiunta. Io scrivo per cambiare la realtà delle cose. Viviamo in un territorio meraviglioso che merita di essere preso a cuore ogni giorno».
Da qualche settimana ha iniziato una collaborazione con Eurispes sull’analisi delle diverse sfaccettature del fenomeno mafioso. Nell’ultimo contributo ha evidenziato il ruolo delle organizzazioni criminali nella filiera agricola.
«Il caporalato è una delle ferite peggiori che una società civile e democratica può vivere tanto quanto la tratta di esseri umani. La riduzione in schiavitù del proprio simile per trarne profitto. Contro questo si può fare qualcosa, tutti noi: consumare prodotti agricoli con coscienza e attenzione. Comprare da filiere certificate, etiche. Ci sono importanti realtà in ogni regione, e moltissimi beni confiscati, che coltivano biologico e rispettano il lavoro pagandolo come deve essere retribuito. Quindi si mangia meglio, non si mangia il prodotto dello sfruttamento e si combattono le mafie. Basta scegliere con un poco di attenzione».
L’ultimo dossier Fattiperbene di Libera fotografa la situazione del riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Secondo l’associazione solo il 48 per cento dei beni confiscati è riutilizzato. Come si può intervenire per efficientare l’Agenzia nazionale ed il sistema di assegnazione dei beni?
«Qui lascerei la parola a esperti più capaci del sottoscritto. Dalla mia quotidiana esperienza personale sui beni confiscati credo che da una parte le amministrazioni devono essere vicine alle realtà già presenti, aiutarle ed anche controllare che operino bene ma sempre nel rispetto che vengano considerate parte dello Stato e non nemici perché praticano la legalità. Dall’altra parte bisogna dare un forte impulso alle stesse amministrazioni, anche economico, perché non si disperda un tale patrimonio di lotte contro le mafie».
Cambiamo argomento: vaccini. Il ruolo dell’informazione è cruciale. Eppure assistiamo ancora a tanta disinformazione.
«La disinformazione unitamente alla disattenzione creano dei vuoti culturali e di comprensione impressionanti. La pandemia è il polso di come intere nazioni reagiscono alle paure. Prima della malattia e di poi alla cura. E questo è già sufficiente».
@ciro_oliviero