Che fine ha fatto la giustizia sociale

Che fine ha fatto la giustizia sociale

Oggi è la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale. Ma, in Italia, è più un funerale

di Marco Ehlardo

Tutti ne parlano, tutti la citano. Pochi la conoscono.
Nei dibattiti politici viene continuamente evocata, a destra come a sinistra. Nelle piazze viene invocata da lavoratori, disoccupati, movimenti.
È la giustizia sociale. Ma, ormai, poiché la si invoca da fronti opposti e con motivazioni divergenti, è stata trasformata in un concetto privo di significato.

Giustizia sociale è, soprattutto, uguaglianza: nei diritti, nei doveri, nelle opportunità. È anche libertà: dalla povertà, dalla disoccupazione, nella salute, nell’educazione.
Eppure, ognuno pensa che questi concetti siano ad appannaggio della propria categoria, etnia, o, semplicemente, della propria individualità, anche (se non soprattutto) negandola agli altri.

In Italia, la giustizia sociale è citata (come “pari dignità sociale” dei cittadini) persino nella Costituzione, all’articolo 3. Ma lo sforzo dei costituenti non ha portato a molti risultati.
Facciamo alcuni esempi.

Riguardo l’uguaglianza delle opportunità, l’Italia si gioca gli ultimi posti nel mondo. Il notaio è figlio di notaio; il professore universitario è, troppo spesso, figlio di professore universitario. E così via per molte professioni “appetibili”. E il figlio di un imprenditore sarà imprenditore anch’egli, anche se totalmente incapace: alla faccia della meritocrazia.
Chi nasce a Scampia a Napoli, difficilmente avrà le stesse opportunità di chi nasce ai Parioli a Roma.
La scala sociale, quella che dovrebbe consentire a chi nasce in basso di arrivare in alto, manca di numerosi pioli al centro. Puoi salire un po’, ma non oltre un certo livello. E vale anche per la discesa di chi sta nella parte superiore della scala.

Sull’uguaglianza dei doveri, poi, siamo sempre stati fenomenali. Ci siamo anche inventati l’immunità parlamentare, per la quale il Parlamento (cioè i suoi colleghi) possono salvare un parlamentare da un processo. Va benissimo nel caso di reati di opinione, meno per quello di sequestro di persona. Si veda il caso Salvini di questi giorni: provate voi, comuni mortali, a sequestrare decine di persone su una nave, e vedete cosa vi succede.

Anche sulle libertà siamo un Paese farsa. Facile citare i migranti: la libertà, cioè, dalla fame e dalla povertà. La giustizia sociale è un concetto universale, non si applica ad un gruppo contro un altro. Se la si invoca, o la si evoca, la si deve garantire a tutti gli esseri umani. Altrimenti è ingiustizia sociale. Anzi, razzismo.
Ma anche considerando solo gli italiani, si può parlare di giustizia sociale in un Paese, ed in un sistema economico, in cui c’è chi soffre la fame e chi ha il jet privato? In cui c’è chi possiede decine di case e chi dorme per strada?

E la libertà dalla disoccupazione, a cui tanto tiene l’Onu? In Italia la disoccupazione non solo non è stata mai combattuta seriamente, ma ha fatto, e fa, molto comodo ad alcuni. Perché è un bacino di voti di persone a cui promettere qualcosa. Perché è un motore di clientele. Perché, infine, è la benzina della rabbia e della paura che ottempera la mente delle persone e crea carriere politiche di altre.
Mai c’è stata una seria politica di redistribuzione della ricchezza in Italia.
Anche il reddito di cittadinanza, per esempio, non lo è. Lo potrebbe essere, benché solo in minima parte. Non lo è quello che è stato proposto, perché fatto in debito, dunque senza redistribuire la ricchezza di nessuno. Anzi, se si dovessero creare problemi al bilancio dello Stato per questo, il conto lo pagheranno, di nuovo, soprattutto i poveri (perché l’aumento dell’iva, previsto in caso di problemi, incide assai di più sulle fasce disagiate della società che su quelle privilegiate).

Si potrebbe ancora parlare di come, se due cittadini si ammalano della stessa malattia, c’è chi può accedere immediatamente a costosissime cure private e chi deve aspettare mesi nella sanità pubblica.
O di come ci siano bambini che studiano in aule informatizzate ed altri che studiano in aule che, semplicemente, non si possono definire aule. Per non parlare di quelli che la scuola la debbono lasciare per lavorare.

In definitiva, la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale è, come altre, una ricorrenza importante e benvenuta. Serve a promuoverla, ad informare la cittadinanza, a sollecitare interventi della politica affinché faccia il possibile per garantirla. Ma prima bisogna ricordarsi cosa sia. Ed accettarne i principi. Non stravolgerli a proprio uso e consumo.
Per questo, appena oggi sentirete qualche politico che ne parla, vi suggerisco di spegnere la tv e leggervi i motivi per cui l’Onu la promuove.
O, semplicemente, di leggervi un libro qualsiasi.

Redazione
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