Mario Paciolla oggi avrebbe compiuto 34 anni, ma non ha potuto festeggiare il suo compleanno perchè lo scorso 15 luglio è stato ucciso in Colombia
Oggi Mario Paciolla avrebbe compiuto 34 anni. La mia età. Io sono più giovane di qualche mese. Mario non ha potuto festeggiare questo giorno perchè sette mesi fa è stato trovato morto in circostanze sospette nella sua casa di San Vicente del Caguán, in Colombia, dove lavorava come osservatore Onu per la missione di verificazione di pace. Mario è stato ucciso. Lo dicono i fatti, per quanto ci sia stato qualcuno che ha provato a negarlo. A nasconderlo. A far credere altro. Stava per tornare a casa Mario, perchè qualcosa laggiù, in Colombia, era cambiato. Aveva cambiato il suo rapporto con il lavoro che stava portando avanti.
Lo hanno raccontato più volte ai giornali i suoi genitori. Io non ci ho parlato. Non me la sono ancora sentita. Lo farò. Prima o poi. Bene fanno i tanti colleghi che si stanno interessando al caso a sentirli, a far raccontare da dentro questa triste vicenda. Triste in questo caso non è un mero aggettivo qualificativo che viene utilizzato per connotare una situazione. È anche il mio stato d’animo da quel 15 luglio. Da quando ho appreso la notizia della scomparsa di Mario. Per alcuni giorni ero incredulo. Come lo erano altre persone amiche che con Mario avevano condiviso un pezzetto di vita.
Come Simone d’Antonio ed Eliana De Leo, che sono state le persone che me lo hanno fatto conoscere agli Youth Media Days di Napoli nel settembre del 2012. Il festival del giornalismo giovane, dove tanti giovani giornalisti ed aspiranti tali si davano da fare. Interloquivano con persone che di questa professione ne sono l’emblema. Si confrontavano, dibattevano. E si davano da fare anche nel lavoro sporco. Ricordo un giorno, mi pare fosse il sabato pomeriggio della seconda edizione del festival, in cui con Mario ci scervellammo perchè non funzionavano i microfoni della prima sala a destra del piano terra del Pan (dove si svolgeva il festival). Mario mi diede una mano. E poi riuscimmo a risolvere il problema.
Era una persona buona. Sempre disponibile. Come quando venne, qualche anno dopo, a Radio Siani (dove ero caporedattore) a parlare delle Brigate Internazionali di Pace. In quella trasmissione ci collegammo telefonicamente con una sua collega. E ne parlammo approfonditamente. Lui aveva iniziato da poco, ma era già entusiasta. Dopo quella volta ho rivisto Mario solo altre due volte. Entrambe per un paio di caffè accompagnati da numerose sigarette in un bar al centro di Napoli. Ho seguito il suo lavoro da lontano, apprezzandolo. E dal 15 luglio con l’amarezza di non aver più preso altri caffè con una persona che stava facendo la differenza dall’altra parte del mondo. In punta di piedi, senza riflettori, come aveva sempre fatto. Ciao Mario, non ti dimenticheremo.
@ciro_oliviero
direttore editoriale dalSociale24