L’affermarsi del sovranismo sta mandando in crisi tutte le convenzioni internazionali
10 dicembre 1948: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Una Dichiarazione che voleva essere un punto fermo per l’umanità, per evitare gli errori, e gli orrori, recenti e passati. Ma un testo che, da allora, viene costantemente tanto richiamato quanto ignorato in molte parti del mondo.
E se ci si può aspettare che venga disattesa in Paesi governati da dittature, anche in Europa ed in Italia non se la passa troppo bene. L’affermarsi del sovranismo, ossia di una concezione per cui regole ed interessi di un Paese prevalgono su ogni accordo internazionale, sia pure sottoscritto, sta mandando in crisi tutte le convenzioni internazionali, a partire dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati per arrivare a quelle sulla tutela dell’ambiente.
In Italia, per esempio, sta passando un principio per cui quelli che dovrebbero essere diritti fondamentali dell’uomo diventano, più che altro, e nella migliore delle ipotesi, delle concessioni che lo Stato, benevolmente, decide di dare all’uomo stesso. Ma, sempre più volte, decide di non dare.
Particolarmente colpiti, in questa fase, sono i migranti, e numerose minoranze etniche, in particolare i Rom; ma anche altre categorie, tutte decisamente italiane, da anni vedono erodere i propri diritti.
Facciamo alcuni esempi di questa mutazione.
Articolo 4: Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.
Chiariamoci: l’Italia non è certo un Paese che consente la schiavitù “legale”. Ma esistono numerose zone d’ombra, nelle quali questo diritto fondamentale non viene abbastanza garantito, e c’è comunque una responsabilità di chi governa, ora ed in passato. Lo sfruttamento del lavoro in alcune zone d’Italia riguarda italiani e migranti. Ma, nel caso di questi ultimi, se la schiavitù non è “legale”, le sue cause lo sono eccome. Spingere sempre più persone fuori dal circuito legale, negando ogni forma di regolarizzazione, o, come sta accadendo in questi giorni, togliere qualsiasi assistenza anche a chi è legale, pone le persone in condizioni di estrema debolezza nei confronti delle organizzazioni criminali che intendono sfruttarli. Bisogna pure garantire la sopravvivenza propria e della propria famiglia (che, tra l’altro, dovrebbe essere garantita anch’essa dall’articolo 25 della Dichiarazione). Quindi gli schiavi, in Italia, ci sono eccome, e se non si rimuovono le cause, è come se, indirettamente, fosse “legale”. Con buona pace della Dichiarazione.
Articolo 13: Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio.
È la violazione più evidente, in Italia, negli ultimi mesi. Certo, il tuo Paese lo puoi lasciare, ma non starai mica pensando di farlo per arrivare nel nostro? Se proprio ti piace muoverti, fallo sul gommone sul quale ti lasceremo in mezzo al mare. E chi se ne frega se, anche lì, è difficile muoversi, se stai come una sardina in scatola assieme ad altre centinaia di persone. Gli unici che ancora godono di questo diritto, in Italia, sono le migliaia di giovani italiani che ogni anno lasciano questo Paese per cercare lavoro altrove. I quali, per inciso, farebbero volentieri a meno di questo diritto, se un lavoro decente si trovasse qui.
Articolo 14: Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.
Cercare glielo possiamo pure concedere, godere non esageriamo. Anche perché se ti capita la (rara) fortuna di averlo, questo asilo, sarà poi difficile goderne, dato che ti buttiamo fuori dall’accoglienza, ti neghiamo il sostegno all’integrazione, ti leviamo persino le spese mediche (recente emendamento alla manovra finanziaria). Se poi questo asilo si traduce in “Protezione Umanitaria”, è già tanto che non ti spariamo (per ora).
Articolo 19: Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione.
Sembra una banalità, in Italia, ma non lo è più. Provate ad esprimere, su un social qualsiasi o persino su un giornale, una critica a questo Governo. Non vi arrestano (per ora); ma sarete oggetto di insulti, minacce e intimidazioni a gogo. Ed il problema è che coloro che dovrebbero garantirti questo diritto sono gli stessi che ti insultano. Anche la libertà di stampa, ormai, sembra più una concessione che un diritto. Se non si recupera lo spirito di questo articolo della Convenzione, presto o tardi persino quelli che ora insultano non avranno più la libertà di farlo.
Articolo 23: Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
Questo articolo i governi italiani non lo hanno mai capito, e non da ora. Forse deve essere stato un difetto nella traduzione in italiano? Il diritto al lavoro è una barzelletta. La protezione dalla disoccupazione esiste solo per poche categorie particolarmente garantite, non certo per i precari, e comunque non a livelli minimamente soddisfacenti. Il gap salariale tra uomini e donne è ancora una triste realtà. La remunerazione equa e soddisfacente è una chimera per molti: pensiamo ai precari, agli operatori sociali, ai casi lampanti di alcuni lavoratori della new economy, ad esempio quelli del food delivery, pagati anche solo 4 euro all’ora. Gli altri mezzi di protezione sociale? Mai pervenuti. Tranne le pensioni: però, per coerenza, negli anni hanno fatto in modo che non potremo avere più nemmeno quella.
Quando, oggi, sentirete tanti politici lasciarsi andare in frasi enfatiche e discorsi retorici sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, fate una cosa: leggetevela.
Basta poco, sono 30 piccoli ma fondamentali articoli.
Forse riuscirete ad evitare che, più che una celebrazione, il 10 dicembre diventi una commemorazione.
Mauro Eliah
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