L’intervista al coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo, Francesco Vignarca
Il numero di armamenti che l’Italia esporta è sempre più in crescita. Soprattutto tra i Paesi extra Ue e extra Nato. Al coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo, Francesco Vignarca, abbiamo chiesto quali possono essere le ripercussioni.
L’export di armi italiane cresce. Negli ultimi 30 anni quasi 100 miliardi di vendite. Quanto vi preoccupa?
«Come abbiamo sottolineato già la scorsa settimana, è evidente che c’è una accelerazione che non dipende solo dalla capacità di industria. Ci sembra che Stato da controllore, sia diventato giocatore della partita. Un giocatore che tifa per l’export, altrimenti non si spiega coma mai negli ultimi 5 anni ci sia stata una vendita di armamenti pari a quella dei 15 anni precedenti. Contestualmente si è acuita la tendenza alla vendita a Paesi extra Ue ed extra Nato. Il 45 per cento dell’export di armi l’Italia lo fa verso Paesi del Medioriente e del nord Africa».
La Rete Disarmo denuncia la perdita di trasparenza sulla vendita delle armi, soprattutto negli ultimi anni. In che termini si è concretizzata?
«Negli anni abbiamo visto deperirsi la trasparenza su cosa succede in questa filiera. Le dinamiche complessive le conosciamo. Ma quando si vogliono controllare licenze medie (come cannoni, missili, armi leggere) è impossibile risalire a chi produce, cosa vende, di che valore, con che banca di appoggio fa le transazioni. Uno dei criteri delle legge 185 è proprio il controllo delle licenze. Una legge che difendiamo, perché ci permette di capire qual è lo stato della produzione e vendita di armamenti. Per noi è già un compromesso. Noi crediamo che si dovrebbero vendere armamenti ai soli alleati. Chiediamo che almeno venga mantenuta la promessa della trasparenza, per permetterci una conoscenza chiara di quello che succede. Aspetto già difficile in quanto la produzione e il commercio di armi sono i settori più corrotti al mondo. Si stima che siano il 40 per cento della corruzione totale».
Nonostante l’Egitto non abbia sottoscritto il Trattato sul commercio di armi l’Italia continua a vedergliele. Quali possono essere le conseguenze?
«L’Egitto nel 2019 è stato il primo Paese per licenze assegnate. In questo rapporto ci tantissimi livelli per considerare. In primis è inaccettabile il comportamento dell’Egitto sui casi Regeni e Zaky. Inoltre il Paese non rispetta i diritti umani. E non lo diciamo noi, ma la stessa Italia, quando al tavolo del Consiglio europeo per i diritti umani sottolineava la mancanza di diritti in quel Paese. Poi c’è la partecipazione ad conflitto molto problematico, ovvero quello in Libia. Tra l’altro sul fronte opposto a quello del riconosciuto governo di Tripoli. sostenuto anche dall’Italia. L’Egitto sta violando l’embargo di armi verso la Libia. L’Italia sta per vendere a quel Paese delle fregate che potrebbero essere utilizzate per accompagnare mercantili pieni di armi e dall’altra parte potrebbero trovare delle navi italiane che controllano la missione europea che cerca di scongiurare ciò. La situazione non torna non solo dal punto di vista pacifista. C’è una summa di motivazioni per cui non si dovrebbero vendere armi all’Egitto. L’ultima notizia è che la licenza per queste nuove fregate non è ancora stata data. C’è stato un ok solo per la prosecuzione delle trattative. Questo lascia ancora spazio per poter fermare la vendita».
L’Italia vende armamenti anche ad altri Paesi extra Ue e Nato.
«Ci sono altre situazioni problematiche come quella della Turchia che opera in Siria e Kurdistan. Dell’Arabia Saudita in Yemen. Ed ancora altri Paesi autoritari come Qatar e Kuwait. Di solito questi stanno in testa alla classifica delle vendite di armamenti da parte dell’Italia. Una notizia positiva c’è: dopo 10 anni il parlamento sta discutendo i dati raccolti grazie alla legge 185. E su questo saremo auditi anche noi».
Ciro Oliviero