La crisi dei modelli economici tradizionali sta favorendo la crescita progressiva di modelli di sviluppo sempre più ispirati ai target definiti
Sono giorni ormai, tanti, troppi giorni, che sui media e sui social impazza la polemica sull’atteggiamento fin troppo superficiale quando non negazionista dell’attuale Governo in ordine al tema della crisi climatica che sta interessando il nostro pianeta, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti.
La storia recente degli eventi meteo estremi che hanno interessato l’Italia, lasciando sul campo vittime e danni ingenti da nord a sud, avrebbe dovuto insegnare tanto ai decisori politici e istituzionali in ordine alla necessità di messa in sicurezza del territorio e delle comunità. E invece no. L’attuale Governo a trazione destrorsa sembra completamente ignaro delle urgenze che gravano sul Paese in questo senso.
Basta pensare la decisione, totalmente insensata, di lasciare per strada circa 16 miliardi di euro di fondi collegati al Pnrr, gran parte dei quali destinati al sostegno di interventi finalizzati alla mitigazione del rischio idrogeologico e alla rigenerazione urbana, oggi più che mai priorità per un Paese estremamente fragile come il nostro. Linfa vitale peraltro non solo per le ricadute rigenerativein termini ambientali, ma anche per quelle sociali e soprattutto economiche di cui si parla molo meno.
È noto da tempo infatti, che la crisi dei modelli economici tradizionali basati su un atteggiamento capitalistico e consumistico a trazione energetica fossile sta favorendo la crescitaprogressiva di modelli di sviluppo sempre più ispirati ai target definiti dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’Onu, con un trend tale da far entrare a pieno titolo un settore come quello delle rinnovabili tra i cosiddetti “ecosistemi industriali” che compongono la Strategia Industriale Europea.
Proprio nel campo delle rinnovabili infatti, dati relativi al ritorno occupazionale pubblicati come quelli relativi al rapporto 2022 di Irena (Agenzia internazionale per le energie rinnovabili) e Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro), hanno evidenziato che a tutto il 2021 i posti di lavoro generati da investimenti nellerinnovabili erano 12,7 milioni, con una crescita di 700mila unità nel periodo 2020-2021. Secondo una ricerca del Censis, nel nostro Paese adeguati investimenti nelle rinnovabili potrebbero generare nei prossimi 3-4 anni ben 150mila nuovi posti di lavoro.
Numeri, di fronte ai quali appare del tutto incomprensibile la strampalata idea di autorevoli esponenti di governo di paventare un ritorno al carbone piuttosto che al nucleare per rimedio alle speculazioni energetiche degli ultimi tempi. Sia perché in antitesi con le odierne strategie energetiche, sia perché incapaci di offrire ritorni occupazionali di questa portata.
E per tornare alla rigenerazione, se nel campo dell’efficienza energetica, altro capitolo chiave per la rigenerazione urbana e la lotta alla speculazione sui prezzi dell’energia, consideriamo la scelta altrettanto incomprensibile dell’attuale governo di cancellare qualche mese fa uno strumento come il Superbonus 110 che nel periodo di attuazione aveva creato un valore di investimenti di 115 miliardi per un ritorno occupazionale di circa 900mila posti di lavoro tra edilizia e settori collegati, allora appare piuttosto evidente che l’attuale Governo a guida Meloni stanavigando in direzione completamente opposta rispetto agli obiettivi planetari di contrasto alla crisi climatica e rilancio economico e occupazionale.
Uno scenario abbastanza preoccupante nel quale uscite come quella di Salvini sul caldo e sullo scioglimento dei ghiacciai sono l’estrema sintesi, non del negazionismo, ma della totale noncuranza di ciò che sta avvenendo nel mondo.
@VinsViglione