Fu il primo imprenditore a ribellarsi al racket imposto dalla mafie e venne ucciso perché nella battaglia contro il pizzo si ritrovò solo
A trent’anni dalla sua uccisione, le scelte (coraggiose) che Libero Grassi, come lui stesso affermava, divideva coi mafiosi, sono scelte la cui forte aderenza alla realtà imprenditoriale odierna pone non poche riflessioni su come si sia evoluto, o si sia evoluto ancora troppo poco, il mondo del contrasto al racket e all’usura che attanaglia oggi più che mai il mondo delle imprese.
Gli effetti sulle imprese in svariati settori economici provocati della pandemia da Covid-19, infatti, sono stati pesantissimi. Uno tra tutti, la carenza di liquidità cui sono andati incontro molti imprenditori, soprattutto medio-piccoli, che in assenza di adeguate tutele e aiuti rapidi da parte dello Stato hanno rischiato e rischiano tuttora di finire dritti dritti nella morsa delle mafie, pronte e immettere nei vari circuiti imprenditoriali grosse somme di denaro derivanti dalle attività illecite dei clan che invece, nonostante la pandemia, sembrano non avere subito particolari crisi. Rischio confermato peraltro nei mesi scorsi anche dal procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, che ha evidenziato come le mafie siano in questo momento pronte a «collocare le loro liquidità nell’economia sana, quindi impossessarsi dal di dentro delle attività economiche senza modificare all’esterno la titolarità, ossia mantengono la gestione ma apparentemente l’attività economica prosegue attraverso il titolare o l’amministratore che da sempre ha condotto quell’attività».
Da qui la necessità di organizzare adeguate e sempre più strutturate misure di sostegno e soprattutto solidarietà nei confronti delle imprese che coraggiosamente scelgono di denunciare gli episodi di racket e di usura di cui sono vittime. Una necessità che oggi fa il paio coi dati riportati nella relazione annuale 2019 dell’ufficio del Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, pubblicata nel luglio dello scorso anno, secondo la quale le 732 istanze di aiuto presentate nel 2019 dalle imprese al Comitato di solidarietà, organo che esamina e delibera sulle domande di accesso ai benefici del Fondo di solidarietà per le vittime di estorsione e usura, evidenziano un calo delle domande presentate rispetto agli anni precedenti (nel 2017 erano pervenute ben 904 le istanze), segno altrettanto evidente di una tendenza a non denunciare.
Libero Grassi, fu ucciso perché in questa strenua battaglia contro il pizzo si ritrovò solo. Oggi, 30 anni dopo, sono ancora tanti gli imprenditori che si sentono abbandonati dallo Stato e dalle istituzioni quando denunciano le richieste estorsive dei clan, e ancora troppi quelli che scelgono addirittura di non denunciare. E questo è il punto su cui lavorare forte per fare in modo che il sacrificio di Libero Grassi e il coraggio di tanti imprenditori che in questi anni si sono schierati contro le mafie non restino oggetto della pallida retorica delle celebrazioni.
@VinsViglione