Con 24 euro pro capite la Calabria è la regione che spende meno, mentre il Trentino con 399 è quella che ne spende di più
Gli ultimi dati Istat disponibili sulla spesa dei Comuni per i servizi sociali sono del 2019. Secondo l’istituto di statistica la spesa sociale è pari a 7,52 miliardi di euro. Ovvero lo 0,42 per cento del prodotto interno lordo. Nonostante la percentuale esigua, la spesa sociale è in crescita. Nel 2013 è di 6,86 miliardi di euro. L’incremento registrato è stato pari al 9,6 per cento. Si assesta, con il 14 per cento, come terza spesa in ordine di grandezza per i Comuni. Gli enti territoriali spendono di più solo per il funzionamento della macchina amministrativa e per territorio e ambiente.
Ma la spesa sociale non è uguale ad ogni latitudine. Come per altri servizi ci sono sostanziali differenze territoriali tra nord e sud del Paese. Non è un vaso che per trovare la prima regione del Mezzogiorno in classifica bisogni arrivare alla 14esima posizione con la Sicilia, che spende 80 euro pro capite. Scendendo si arriva fino ai 24 euro della Calabria. Fatta eccezione per la Sardegna, che spesso viene considerata una regione del Sud, che è terza con 256 euro pro capite di spesa sociale. Per leggere chiaramente il divario basta vedere che la prima regione è il Trentino con 399 euro. Quasi 17 volte di più della spesa dei Comuni della Calabria.
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Al di sotto della media nazionale di 126 euro pro capite ci sono anche le Marche con 114, il Veneto con 104, l’Umbria con 96. Sotto la Sicilia, come detto con 80 euro di spesa sociale pro capite, figurano Puglia con 77, Molise 72, Abruzzo 71, Basilicata e Campania 57. Appena sopra la spesa media nazionale Lombardia con 137, Piemonte 138, Toscana 139, Liguria 148, Lazio 150 euro pro capite. A salire Emilia Romagna 173, Valle d’Aosta 220, la succitata Sardegna 256, Friuli 276 euro pro capite.
Questo divario va colmato. E va affrontato anche attraverso i fondi del Pnrr. Ad evidenziarlo era stata la Presidenza del Consiglio lo scorso anno, sottolineando che tra le riforme da realizzare c’è «la definizione del livello essenziale delle prestazioni per alcuni dei principali servizi alla persona». Alle disparità territoriali va aggiunta l’ulteriore mazzata della pandemia da Covid-19, che ha evidenziato l’esigenza di un welfare sempre più di prossimità.