L’intervista alla vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera, Michela Rostan
Nei prossimi mesi si giocherà una partita importante sui fondi del Recovery fun. Recuperare il gap tra nord e sud del Paese. L’evoluzione del reddito di Cittadinanza. L’aumento della violenza di genere. La situazione delle periferie di Napoli. Ne abbiamo parlato con la vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera, Michela Rostan.
Per far ripartire il Paese è necessario ridurre le disuguaglianze territoriali e sociali, soprattutto nel Mezzogiorno. Le risorse del Recovery Fund possono essere la risposta a questa necessità? E se sì, in quali settori chiave le investirebbe?
«Le risorse assegnate dal Recovery fund sono un’occasione irripetibile per avviare un processo serio di ricongiungimento tra Nord e Sud del Paese. Parliamoci chiaro. L’Italia, dopo un anno di pandemia Covid-19 è ancora più divisa, iniqua e disarmonica in tutte le strutture principali. A partire da quella sociale e dei servizi alla persona. Per non parlare dei livelli occupazionali, specie quelli che afferiscono ai giovani e alle donne. Se guardiamo, poi, ai sistemi infrastrutturali ci rendiamo conto che i ritardi del Mezzogiorno rischiano di diventare incolmabili. A questo punto dobbiamo agire per gradi. Come prima cosa dobbiamo evitare che il Sud venga scippato delle risorse che gli spettano. Dei 191,5 miliardi di euro, almeno il 50 per cento devono essere impiegati a recuperare il gap. Aprile sarà un mese determinante in questo senso perché dovranno essere consegnate le progettualità e dovremo verifiche che realmente abbiano come finalità quella della coesione territoriale e dell’avvio della transizione digitale e di quella ecologica. In secondo luogo dovremo assicurarci che le regioni del sud siano pronte ad affrontare questa sfida. Dei 47 miliardi di euro programmati nel Fondo per lo Sviluppo e la Coesione dal 2014 al 2020, ne sono stati spesi poco più di 3 miliardi. E questo non può accadere di nuovo. I settori prioritari nei quali investire sono senza dubbio quelli che impattano sul reddito pro capite e sui servizi socio-sanitari. Devono essere completate le grandi infrastrutture stradali e portuali che restituiscano competitività al Mezzogiorno incentivando nuovi investimenti privati. Servono misure per la digitalizzazione della Pubblica amministrazione e per la realizzazione dei big data sanitari. Bisogna sostenere l’occupazione femminile attraverso il potenziamento del welfare e delle strutture di assistenza come asili nido e consultori, e quella dei giovani avviando il grande processo di rigenerazione della Pa tramite nuove assunzioni. È fondamentale poi sostenere l’intero comparto dei servizi socio-sanitari che, proprio nel corso dell’emergenza pandemica, hanno mostrato tutti i loro limiti. Tanto cuore degli operatori ma carenza di mezzi e risorse che non sono accettabili in un Paese come il nostro».
L’ultimo anno ha evidenziato i limiti del Reddito di Cittadinanza. Come intervenire per arrivare alle persone che ad oggi sono tagliate fuori dai vincoli previsti dalla norma attuale?
«Il Reddito è riuscito a offrire un sostegno a tantissime famiglie in un momento particolarmente doloroso per l’Italia. Tuttavia questa misura ha avuto due limiti fortissimi. Da un lato è stata fallimentare in termini di aiuto al reinserimento nel mondo del lavoro. Dall’altro ha lasciato fuori troppi aventi diritto, imbarcando altrettanti furbetti. Se vogliamo mantenere questa misura è prima di tutto indispensabile potenziare i controlli da parte delle forze dell’ordine e dell’Agenzia delle Entrate. Se non c’è questa attività, ogni tentativo di miglioramento è destinato a fallire. In secondo luogo bisogna tornare ad avere un rapporto diretto tra chi gestisce questa misura e i beneficiari. Io ricordo una misura analoga, il reddito d’inserimento, che veniva affidato alla gestione di tante realtà del terzo settore che ne assicuravano il buon esito e, al tempo stesso, segnalavano le distorsioni e le carenze. Recuperare questa territorialità e questa umanità nella gestione delle misure sociali è determinante per il successo delle stesse. È evidente che il controllo sul territorio consente anche di far emergere tutti gli esclusi con maggiore puntualità».
La pandemia ha acuito anche la violenza sulle donne. Come intervenire per fermare questa piaga sociale?
«Le donne sono quelle che hanno pagato più di tutti l’emergenza scatenata dalla pandemia del Coronavirus. Sotto tutti i punti di vista. L’occupazione femminile è crollata. Oltre 402 mila posti di lavoro persi tra aprile e settembre 2020. Per non parlare dei carichi familiari legati ai vari lockdown, alle zone rosse, alla dad e, soprattutto, alla lunga chiusura dei centri terapeutici per i figli con esigenze speciali. Tutto sulle spalle delle donne. Anche le tensioni familiari che ne sono scaturite. Ed ecco la riesplosione dei casi di violenza domestica e dei femminicidi. La conta dagli inizi del 2021 è impietosa. Da questo punto di vista le istituzioni devono fare molto di più. Bisogna sostenere economicamente i centri antiviolenza e aprirne di nuovi. Aiutare la vittima a denunciare è fondamentale se vogliamo vincere questa battaglia. Al tempo stesso devono essere aperte case famiglia per chi ha la forza e il coraggio di denunciare il proprio carnefice. E in questo senso siamo ancora molto indietro. Così come bisogna incentivare la formazione all’autoimprenditorialità per consentire alle vittime di violenza di rendersi autonome lavorativamente riuscendo così a provvedere a loro stesse e ai figli senza dover sottostare al ricatto dei violenti».
Le cronache degli ultimi tempi, nella periferia ed in provincia di Napoli, hanno evidenziato un incremento delle azioni criminali. Come si può intervenire per far fronte a questo fenomeno, anche attraverso i fondi del Recovery?
«La periferia di Napoli, al pari di quelle delle altre città metropolitane, sta esplodendo. La crisi economica colpisce duramente e i clan fanno proseliti e affari d’oro potendo essere gli unici a poter contare, in questo momento, sulla liquidità economica. Bisogna sottrarre linfa vitale alla malavita. I fondi del Recovery devono essere utilizzati per offrire alternative concrete a chi è in cerca di lavoro per la prima volta oppure per chi il lavoro ce l’aveva e lo ha perso. Bisogna alleggerire la pressione fiscale e quella dei costi fissi sulle partite iva, sui professionisti, sugli artigiani e sui piccoli commercianti. Tutte misure che consentirebbero a chi sta vivendo questo durissimo momento di crisi di poter contare sul sostegno dello Stato, rinunciando a quello della criminalità. Un tema di cui parlo con grande amarezza in questi mesi perché vedo la mia terra, la Campania, impoverirsi sempre di più. La desertificazione industriale, vedi il caso Whirlpool solo per citarne uno dei più emblematici, unita alla chiusura degli esercizi commerciali rischia di causare un vero e proprio corto circuito sociale. Sono queste le condizioni nelle quali la malavita tenta di conquistare nuovi pezzi di territorio e nuova manovalanza. Stroncare sul nascere questo pericolo è possibile solo se utilizziamo bene le risorse che l’Europa ci sta offrendo. La palla, adesso, è passata a noi. Dimostriamo ancora una volta quanto vale l’Italia, quanto valgono gli italiani».
@ciro_oliviero