Migranti trattati da schiavi

Migranti trattati da schiavi

Il dossier Caritas nella Giornata mondiale del Rifugiato

Nel dossier Caritas presentato oggi in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato si legge che «la parola schiavitù suona oggi anacronistica, lontana dalla nostra esperienza del reale. Evoca bastimenti carichi di uomini ridotti a merce, navi negriere che fra il ‘700 e l’800 solcarono l’Oceano Atlantico deportando schiavi in catene, linfa vitale delle colonie europee d’America». Momenti che sembrano lontani nella storia, ma che, come si evince dal dossier Caritas sono ancora attuali.

Una forma di schiavitù moderna quella analizzata dall’organizzazione che prende il nome di kafala. Nata nel periodo del boom economico degli anni ’50, oggi coinvolge le lavoratrici domestiche nei Paesi della penisola araba quali Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar ma anche in Giordania e in Libano. «Si stima – si legge nel dossier Caritas – che 40,3 milioni di uomini, donne, bambini siano oggi costretti a vivere una qualche forma di moderna schiavitù». Come evidenzia l’organizzazione cristiana «tra questi ci sono tanti di profughi e richiedenti asilo che nel corso del loro viaggio cadono nella rete di trafficanti senza anima».

Secondo l’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la kafala è un modo per nascondere anche altre forme di schiavitù, come lavoro forzato, violenze sessuali, gravidanze indesiderate, abusi. Chi fugge se viene catturato può essere incriminato per immigrazione illegale. Per questi lavoratori non esistono norme del diritto del lavoro, né sindacali, né salariali.

Nel report di Caritas vengono evidenziati i meccanismi di sfruttamento, il fenomeno della tratta di esseri umani, le migrazioni forzate che spingono sempre più persone a lasciare la propria terra come ha evidenziato l’Unhcr.


Redazione
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