Nel bene confiscato di via Le Corbusier 39 a Ravenna, tre associazioni hanno dato vita a La cura in rete, un piccolo polo della disabilità
La legge 109 del 1996 prevede che i beni che lo Stato ha confiscato alle mafie possono essere riutilizzati per scopi sociali. E così da venticinque anni i beni confiscati diventano aziende agricole sane, case accoglienza, centri di ascolto e di accoglienza. Come nel caso del bene di via Le Corbusier 39 a Ravenna, che tre associazioni hanno reso un piccolo polo della disabilità. La cura in rete. Questo il nome della struttura. Una realtà che dialoga con l’Ausl Romagna e con il Comune di Ravenna. A gestirlo le associazioni Alice Ravenna, Alzheimer Ravenna e Ravenna Parkinson. Nomina sunt omina. Le associazioni infatti si occupano delle persone affette da queste malattie e di quelle colpite da ictus cerebrale.
Nel bene, inaugurato dal fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, si svolgono attività di varia natura che aiutano le persone ad affrontare la malattia. Anche sotto il profilo burocratico. Aiutando i caregiver familiari nelle pratiche da adempiere, nel rapporto con i servizi pubblici. Le associazioni hanno costituito dei gruppi per pazienti e familiari, che servono a mantenere viva la relazione. Da La cura in rete si svolgono inoltre attività motoria, di logopedia, musicoterapia, arteterapia.
«Questa commistione di patologie è una ricchezza, fa sentire le persone meno sole nell’affrontare e accettare le proprie fragilità, riconoscendo anche quelle altrui», ha detto Daniela Toschi, presidente di Alice, capofila del partenariato. «Questa collaborazione – ha aggiunto – ci ha permesso una maggiore sinergia con le istituzioni: con la Neurologia e la Medicina riabilitativa dell’Ausl Ravenna, con il territorio del Distretto Socio Sanitario e con gli operatori messi a disposizione. Lavorare insieme significa collaborare per fare conoscere i nostri servizi che sono sempre in sinergia e in partnership con l’Ausl».
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