Occorre un impegno concreto nel predisporre piani di difesa delle aree umide presenti ai quattro angoli del pianeta
È ufficiale, quindi: la popolazione mondiale ha raggiunta la soli record di 8 miliari di persone. E molti notiziari hanno riportato la notizia rapportandola, giustamente, con il dato piuttosto preoccupante sulla perdita di biodiversità registrata negli ultimi 50 anni che secondo le stime del Wwf, solo tra i vertebrati è pari al 69 per cento. Due dati su cui, oggi più che mai, occorre ragionare seriamente se si pensa che dalla buona salute della biodiversità dipende il destino alimentare di questi 8 miliardi di esseri umani. E proprio alimentare tale ragionamento, risulta molto interessante la notizia dell’approvazione nelle scorse ore da parte della Germania di una strategia di difesa delle paludi come strumento di tutela degli habitat a rischio scomparsa e salvaguardia del clima.
Secondo un recente studio pubblicato su Science, infatti le cosiddette aree umide, e cioè zone paludose, acquitrinose e torbiere, pur coprendo appena l’1 per cento della superficie terrestre sono capaci di catturare Co2 per metro quadrato circa cinque volte in più rispetto alle foreste e addirittura fino a cinquecento volte di più degli oceani. In Italia sono censiti 53 siti di questo genere lungo tutta la penisola che per le loro caratteristiche sono ritenuti di importanza internazionale, ai sensi della cosiddetta Convenzione di Ramsar, ratificata nel 1971 in Iran a seguito della Conferenza Internazionale sulla Conservazione delle Zone Umide e sugli Uccelli Acquatici.
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È evidente quindi che oltre alle foreste, su cui è intervenuto un importante accordo siglato tra Brasile, Indonesia e Repubblica democratica del Congo, per porre un argine alle deforestazione che ha colpito vaste aree dei loro rispettivi territori, nel panorama generale di mitigazione dei cambiamenti climatici e tutela della biodiversità occorre un impegno concreto da parte di tutti i Paesi del mondo nel predisporre piani di difesa delle aree umide presenti ai quattro angoli del pianeta. Che sia da monito per tutti i governi che pensano ai cambiamenti climatici solo in termini economici ed energetici. Perché ci sono capitali come quello naturale che una volta persi non sono recuperabili con nessun piano economico o finanziaria possibili e immaginabili.
@VinsViglione