Il racconto di un familiare di chi ha perso casa ed auto
«Nella mia famiglia non ci sono morti, ma vari feriti. Nella sfortuna sono stati fortunati». A parlare è Vahe Keuchguerian, ingegnere che vive e lavora in Italia e che ha Beirut ha lasciato parte della sua famiglia. I suoi due fratelli abitano alla spalle del porto. Le loro case sono state pesantemente colpite dall’esplosione. «Uno dei miei fratelli ha trovato grossi pezzi di vetro sugli armadi. Per fortuna non li hanno colpiti. La suocera di uno dei miei fratelli si è rotta un braccio. La suocera dell’altro fratello non deambula e per ora è ancora nella sua casa», racconta Vahe. Nei prossimi giorni dovrebbe trovare posto in un campo della Croce Rossa.
«Nonostante fosse ferito la prima cosa che ha fatto mio fratello è stata correre a casa a cercare la figlia di 7 anni. Poi ha percorso 5 chilometri a piedi per portarla a mia sorella», racconta Vahe. «Le persone hanno pensato a salvare prima i bambini. Purtroppo una bambina di tre anni è rimasta uccisa». Quasi 300mila sono le persone rimaste senza casa. Le strade non sono completamente agibili. Ed anche le auto sono distrutte. Molte per il propagarsi dell’esplosione. Altre colpite dai calcinacci dei balconi andati distrutti a loro volta. Anche se sono rimasti tutti a piedi ogni giorno le persone tornano a casa loro per cercare di togliere le macerie. Per riparare una porta. Una finestra. Per cercare di evitare che ci possa piovere dentro. La zona è circondata dall’esercito. Solo se sei residente riesci ad entrare.
«Mi ha colpito molto l’intervento della società civile. Molti volontari si sono attivati dal primo momento per portare acqua e cibo», racconta Vahe Keuchguerian. «Ad oggi invece nessuno del governo si è presentato sul luogo dell’esplosione», sottolinea Vahe. La presenza più ingente è quella delle organizzazioni internazionali. Nella zona sono inagibili anche i negozi. «Ai beni di prima necessità ci pensano i volontari. Ma mancano anche i medicinali. Già da prima di questa catastrofe scarseggiavano ed i prezzi erano saliti alle stelle. I volontari – aggiunge l’ingegnere – curano le ferite. Tre ospedali sono stati chiusi perché danneggiati dall’esplosione. A questo si aggiunge il problema Covid. Ieri sono stati registrati 280 nuovi casi».
Il Libano già versava in una situazione difficile da ottobre. A marzo non sono stati più pagati gli eurobond ed è stato dichiarato il fallimento. Nelle banche sono terminati i dollari. Le persone vengono pagate con la lira libanese, che ha perso 5 volte il suo valore. Così è calato di molto anche il potere d’acquisto giù.
Ciro Oliviero