Le riflessioni di Paolo Siani e Giuseppe Scognamiglio
La sera del 23 settembre del 1985 due killer uccisero il giornalista Giancarlo Siani sotto casa a Napoli. Ad ammazzarlo furono Armando Del Core e Ciro Cappuccio del Clan Nuvoletta di Marano. Gli esecutori materiali dell’omicidio Siani non hanno mai fatto i nomi dei mandanti. Le indagini portarono a scoprire che a dare l’ordine fu Angelo Nuvoletta.
Del Core e Cappuccio non hanno mai parlato perché hanno goduto per 35 anni del welfare criminale, come lo ha definito ieri Paolo Siani, fratello di Giancarlo. Un sostegno assicurato per tutti questi anni alle famiglie dei killer condannati all’ergastolo.
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«La mia è una riflessione molto amara. Questi fatti – afferma Paolo Siani – denotano che il welfare criminale funzione meglio e di più del welfare statale. Un’amara deduzione. Se non interveniamo su questo versate non riusciremo a sconfiggere il fenomeno mafioso solo con gli arresti. Se la fedeltà ad un clan ti porta a beneficiare di un contributo, se così lo vogliamo chiamare, per 35 come si fa sconfiggere mafie? Diventa molto difficile. Se da un lato possiamo constatare che funziona bene la repressione, dobbiamo dirci che non funziona altrettanto bene la prevenzione. Dobbiamo dare un’opportunità di vita diversa, soprattutto ai giovani, affinché possano sfruttare le loro potenzialità, le loro capacità».
Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della cooperativa sociale Giancarlo Siani, Giuseppe Scognamiglio. «Cappuccio e Del Core non sono due semplici killer. Probabilmente detengono conoscenze su fatti e dinamiche interne all’organizzazione camorristica che in tutte le sue sfaccettature si adopera e continua ad adoperarsi per mantenere alto il silenzio omertoso. Contestualmente – dichiara Scognamiglio – lo stesso omicidio di Giancarlo continua ad essere un omicidio dalle dinamiche complesse e fitte alle quali spero un giorno ci sia veramente chiarezza e giustizia».
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Il presidente della cooperativa Siani evidenzia che «episodi come questo ci mandano un messaggio chiaro: la camorra esiste ed è viva. La mesata come welfare criminale esiste ed è sistemica. In questo caso per killer di elevata importanza. Ma in altri casi per mero sostegno e sussidio, come risposta alle difficoltà socio economiche dei nostri territori. Ed è qui, sul disagio e sulle diseguaglianze, che lo Stato deve intervenire dando il massimo, Forze dell’ordine e la magistratura non possono bastare. Dobbiamo – conclude Giuseppe Scognamiglio – invertire il paradigma per sconfiggere socialmente e culturalmente la camorra».
Ciro Oliviero